Teresa Gamba Ghiselli nacque a Ravenna nel 1799 o nel 1800 da Ruggero, esponente di un’antica famiglia di conti, e da Amalia Macchirelli di Pesaro.
Nonostante il padre fosse di sentimenti liberali, la ragazza frequentò l’Educandato per fanciulle presso il monastero di S. Chiara a Faenza, diretto dalla celebre suor Teresa Rampi, che garantiva una formazione ben superiore a quella riservata di solito alle signorine di buona famiglia, come testimonia uno scritto dell’epoca “Vi s’insegnano le lingue italiana e francese, la Storia sacra e profana, la Geografia, l’Aritmetica, il Disegno, la Musica istrumentale e vocale”.
Con una scelta che a noi pare incomprensibile, ma che rientrava nelle logiche matrimoniali del tempo, tanto più che i Gamba, compromessi con Napoleone, non nuotavano nell’oro, nel 1818 sposò il conte ravennate Alessandro Guiccioli, più che sessantenne, due matrimoni alle spalle, sette figli, un vasto patrimonio, una certa contiguità con gli ambienti liberali, una solida fama di libertino e un mare di pettegolezzi sulla “opportuna” fine della prima ricchissima moglie.
Nell’inverno i due coniugi si trasferirono a Venezia, che, nonostante fosse in declino sotto l’aspetto politico ed economico, restava una delle mete preferite dalla bella gente, che voleva divertirsi al riparo di una patina di storia e di cultura: qui, nel salotto della spregiudicata Marina Querini (La Biondina in Gondoleta della celebre canzone) avvenne l’incontro fatale con Lord George Gordon Byron.
Teresa e George

Lui era celebre grazie ad alcune opere (Childe Harold’s Pilgrimage, The Giaour, The Corsair) che ne avevano forgiato il mito di bello e dannato, ambitissimo da ogni salotto e ricercato da ogni dama, desiderosa e convinta di placarne il tormento interiore. Bello lo era davvero, anche se affetto da una lieve zoppia, che combatteva attraverso una pratica sportiva esasperata, soprattutto il nuoto, e da una sgradevole tendeva alla pinguedine, che contrastava a suon di diete pericolose e cervellotiche, limoni con aceto e anche di peggio.
Ma il suo irresistibile fascino tenebroso nasceva soprattutto da una vita privata sregolata e ribelle, specchio fedele delle sue opere, ricca di passioni travolgenti che presto gli generavano noia quando non disgusto: per alimentare il proprio mito sosteneva di avere avuto oltre duecento donne, mentre evitava di sbandierare gli incontri omosessuali, di cui pure la buona società inglese si diceva certa. Accanto ai rapporti occasionali ebbe anche relazioni importanti, condotte pericolosamente sul limite quando non oltre la morale corrente: la gran dama e scrittrice Carolina Lamb, che per lui tentò il suicidio, la sorellastra Augusta Leigh (stesso padre, madri diverse), da cui ebbe la figlia Medora, la moglie Anne Isabella Milbanke, una geniale matematica, sposata per motivi economici (anche i poeti maledetti devono pagare sarto e calzolaio), madre di Ada, unica figlia legittima, e la sorellastra di Mary Shelley, Claire Clairmont, che gli diede la terza figlia, Allegra.
Lei era una ragazza colta, affascinante, molto bella, anche se non tanto alta, con un viso incantevole, fluenti capelli biondi abboccolati sulle punte o raccolti in ricci sfuggenti con un voluto effetto di disordine. Se si presta fede a un pettegolezzo di Chateaubriand aveva il seno troppo prosperoso e adottava un look appariscente, ma persino lo scrittore francese doveva riconoscerne la deliziosa freschezza.
Gli inizi della relazione
Tra Teresa e George fu amore a prima vista, favorito anche dalla sostanziale indifferenza del marito, uomo di mondo che finché gli fu comodo finse di non vedere e non capire.
A inizio estate 1819 i coniugi Guiccioli rientrarono a Ravenna, da dove Teresa gravemente malata – si temeva il mal sottile – invocò il poeta, che la raggiunse poco tempo dopo e si preoccupò persino di far venire da Venezia per un consulto Francesco Aglietti, uno dei medici più stimati dell’epoca.

Tra ipotesi di fughe in luoghi impossibili e di drammatiche soluzioni shakespeariane con una finta morte alla Giulietta, i tre – Teresa, George e Alessandro – nei mesi seguenti partirono prosaicamente per Bologna, dove il conte ravennate doveva curare degli affari. Quando il marito rientrò a Ravenna, Teresa, che aveva avuto un’opportuna ricaduta, restò in città in compagnia di Byron, con l’intesa che sarebbe stata ricondotta a casa da quest’ultimo.
I due amanti fuggirono invece a Venezia e convissero molto ritirati – persino la spregiudicata società veneziana avrebbe trovato eccessivo ostentare l’adulterio – a Villa Foscarini dei Carmini, splendido edificio nel Comune di Mira, dove pare che il poeta avesse già alloggiato Marianna Segati, suo primo amore veneziano.
L’idillio terminò con l’irruzione del marito, che, secondo la vulgata, obbligò con la forza Teresa a seguirlo a Ravenna, versione che stride un poco con il fatto che Byron – dopo un periodo di incertezza che gli fece valutare anche un rientro in Inghilterra – non trovò di meglio che raggiungere la città romagnola, affittando… il pian terreno di palazzo Guiccioli.
La Carboneria e l’appoggio ai moti del 1821
Teresa e la sua famiglia avevano storici contatti con gli ambienti liberali e la carboneria: ciò diede al poeta inglese, oltre all’opportunità di scrivere alcune opere di argomento “italiano”, la possibilità di tradurre in obiettivi concreti quel ribellismo genericamente libertario, insito nella sua forma mentis, sposando la causa dell’indipendenza italiana e più in generale dei paesi “oppressi”.
Nacque in quegli anni una solida amicizia con il conte Gamba e con il figlio Pietro, che si tradusse non solo in interminabili discussioni sulle migliori strategie insurrezionali, ma anche in finanziamenti destinati all’acquisto di armi necessarie ai moti del 1821. Grazie al suo status di lord inglese, Byron costituiva l’appoggio ideale per gli improbabili cospiratori ravennati, in grado non solo di finanziarli, ma anche di occultare in cantina, al riparo della polizia pontificia, un intero arsenale. La presenza del poeta fu particolarmente preziosa dopo la mala parata dell’insurrezione, quanto molti sedicenti liberali furono lestissimi a nascondere presso “l’inglese” i fucili, tanti bramati solo qualche settimana prima, ma il cui possesso comportava ora un grave rischio personale.
La passione “politica”, il nuovo demone da cui era preso in quel momento, non inquinò però il giudizio di Byron sugli avvenimenti del 1821, che rimase sempre lucido e privo di quei toni esaltati che ci si attenderebbe. Passò, infatti, dalla cauta speranza dei primi giorni di gennaio “ho idea che perfino qui i carbonari siano abbastanza forti da battere le truppe” all’amara, ma veritiera riflessione del 23 dello stesso mese “i carbonari non sembrano avere un piano – niente di stabilito fra loro su come, quando o che cosa fare”.
Anche nel bel mezzo di questa pericolosa situazione, il poeta però non smentì il suo personaggio: l’8 gennaio, infatti, dopo aver riportato nel diario l’approfondita discussione con Pietro sulla difesa di Forlì, scrive, senza soluzione di continuità, “provato una giacca nuova”. Che diamine! Non si può certo combattere con una giacca fuori moda!. (conhttps://www.donnea.it/2023/05/22/la-fuga-damore-di-george-e-teresa/tinua)

Maria Giovanna Trenti – Miria Burani ©