DONNE d’Arme – Fra le tre “dame guerriere Torelli” Antonia è il personaggio più complesso e al tempo stesso quello su cui disponiamo di minori notizie affidabili.

Stretta tra i fortissimi caratteri della madre Orsina e della figlia Donella, appare meno determinata, più introversa, quasi segnata da una vena misticheggiante: i motivi sono forse da ricercare anche nella trattazione che della sua vita hanno fatto storici e letterati (quasi sempre uomini) che l’hanno trasformata – ognuno nel rispetto delle proprie personali convinzioni – nel simbolo astratto della “buona moglie” in contrapposizione alla anomala vicenda amorosa del marito, Pier Maria de’ Rossi, signore di Parma e esponente di maggior rilievo della potente casata.

Lo stemma della Famiglia Torelli

Figlia di Orsina, madre di Donella

Antonia era nata da Orsina e Guido Torelli nei primi anni del 1400 – convenzionalmente molte fonti optano per il 1406 – e quindi era già in grado di capire e soffrire gli eventi che la circondavano, quando nel 1409 la madre, il fratellino Cristoforo e il nonno paterno furono portati a Ferrara come ostaggi. I rapporti tra genitori e figli, soprattutto in tenera età, nelle famiglie nobili erano al tempo labili e saltuari, ma di certo la piccola Antonia avrà avvertito il clima di ansia che regnava in quel momento nelle case Torelli.

Il ritorno di Orsina riportò le cose nell’ordinario, e ben presto Antonia fu inviata a completare la sua formazione a Parma presso il Convento di San Paolo delle suore benedettine, che ospitava le “ragazze di buona famiglia” dei dintorni, parecchie delle quali, molto più spesso di quanto oggi si tenda a pensare, aspiravano a rimanere, con ruoli di prestigio, nel monastero.

La manzoniana Gertrude ha, infatti, avuto il merito di portare allo scoperto la brutalità di tante monache forzate, ma al tempo stesso, complice la potenza letteraria del personaggio, ha finito con l’oscurare il fenomeno opposto: le molte ragazze, spesso intellettualmente assai dotate, obbligate a “restare nel mondo” per motivi politici ed economici, a fronte di una personale propensione per il chiostro.

Il padre Guido Torelli

Le Badesse di San Paolo poi godevano in città di alto prestigio e indipendenza, tanto che disponevano di appartamenti propri, potevano viaggiare e frequentare la meglio società del tempo, non esclusi gli artisti: splendida testimonianza di questo ambiente la celebre Camera della Badessa dipinta dal Correggio per Giovanna da Piacenza intorno al 1520, dopo che quest’ultima aveva vinto un’abilissima e intelligente schermaglia, in punta di fioretto, nientemeno che con il Papa, il quale avrebbe gradito una clausura più rigida.

La volontà di rimanere in convento

Secondo alcune interpretazioni la volontà di Antonia era appunto quella di restare in convento raggiungendo, vista la famiglia di provenienza, i più alti incarichi, come già aveva fatto una sorella del padre: al momento non abbiamo supporti documentali specifici, ma di certo restò sempre molto legata a questo monastero, che beneficò in tutti i modi possibili e nelle cui vicinanze, verso vicolo delle Assi, si fece realizzare un “quartierino”, dove si rifugiava nei momenti difficili.

A far propendere per una certa riluttanza di Antonia al matrimonio è anche l’età piuttosto avanzata (per il tempo) in cui fu siglato il contratto di nozze. I genitori, infatti, la sposarono solo nel 1428 – quindi se accettiamo come data di nascita il 1406 a ben (!) ventidue anni – a Pier Maria de’ Rossi, figlio di Pietro e di Giovanna Cavalcabò, rampollo della famiglia più potente di Parma, che in quel momento di anni ne aveva solo quindici. Doveva essere però un adolescente piuttosto “maturo” se nell’arco di un paio d’anni lo troviamo capitano di milizie al servizio dei Duchi di Milano.

… e invece si sposa

L’unione di Antonia e Pier Maria era, infatti, da inquadrare nella particolare situazione politica di Parma nei primi decenni del Quattrocento: contrariamente a quanto stava accadendo in numerose altre città italiane, dove era emersa una sola famiglia che stava stabilizzando il proprio potere attraverso legami feudali con il Papa o l’Imperatore, a Parma i Rossi continuavano ad essere primi inter pares, osteggiati da famiglie di eguale peso economico e politico quali i Sanvitale e i Pallavicino.

La ricerca di appoggi presso le casate italiane più potenti era quindi una necessità costante della loro politica, in cui si inquadrava perfettamente il matrimonio tra il loro erede e la figlia del Torelli, condottiero di stretta osservanza viscontea. Da un lato serviva a chiudere un periodo di dissapori con i duchi milanesi, dovuto all’atteggiamento non proprio cristallino tenuto dalla famiglia parmense alla morte di Gian Galeazzo, dall’altro a rassicurare Filippo Maria circa la fedeltà di Parma, situata nel cuore di quell’Emilia che i Visconti da sempre vedevano come naturale bacino di espansione dei loro possedimenti. Il momento era poi particolarmente propizio perché consentiva di sfruttare il malumore del Duca di Milano verso i Pallavicino, che lo avevano tradito nel corso dell’ennesima guerra con Venezia.

I figli, almeno sette

Secondo un copione già visto, i primi anni di matrimonio scivolarono via relativamente “tranquilli” con Pier Maria impegnato a farsi strada presso il Duca di Milano e Antonia a gestire, insieme alla suocera, le principali “corti” di famiglia, Felino e San Secondo, sfornando al contempo una nidiata di figli, almeno sette secondo le fonti più attendibili, ma c’è chi si spinge sino a dieci, probabilmente tratto in inganno dall’uso del tempo di tenere in famiglia anche bambini (nello specifico almeno tre) frutto di relazioni extraconiugali.

Nel 1430 o 1431 nacque, infatti, il primogenito Giovanni, seguito, a breve distanza, da Giacomo (1432 o 1433), Maria Bianca (1434), Bernardo (1435 o 1436), Guido (1437), Eleonora (1438) e Donnella (1439), cui qualche fonte aggiunge Roberto, morto bambino.

Nel 1438, alla morte del padre, Pier Maria proseguì, con toni ancora più spregiudicati, una politica di espansione dei propri domini nel territorio e di allargamento della clientela cittadina, arrivando persino a scontri armati contro le famiglie rivali: in particolare nel 1441 recuperò Berceto, a fronte di un pagamento a Filippo Maria di 9600 lire imperiali, e nel 1448 strappò ai Sanvitale la rocca di Noceto, importante caposaldo sulla riva sinistra del Taro, che dava finalmente ai suoi domini una marcata coerenza territoriale.

Pier Maria e la famiglia allargata

Il 1440, che portò al Rossi il titolo di conte di Berceto, segnò un forte spartiacque nella vita dei due coniugi: in quel periodo, infatti, alla corte di Bianca Maria, ultima erede dei Visconti e moglie di Francesco Sforza, futuro Duca di Milano, Pier Maria conobbe Bianca Pellegrini d’Arluno, di cui si innamorò perdutamente, dando vita ad una delle più celebri e chiacchierate storie d’amore del Quattrocento italiano.

Torrechiara, cortile interno

Imbevuti, volenti o nolenti, di sensibilità “romantica”, fatichiamo ad analizzare i legami sentimentali del passato e tendiamo a prestare ai protagonisti le nostre categorie mentali, ma in questo caso ci troviamo probabilmente di fronte a una storia d’amore nel senso moderno del termine, qualcosa di molto diverso dalle relazioni extraconiugali, cui mogli e figli dei “potenti” erano abituati e che accettavano in nome di un uso corrente, che attribuiva al capo di casa anche questo tipo di libertà.

Antonia si trovò quindi a fronteggiare non la “solita amante” con corredo di uno o più figli, magari da gestire insieme ai propri, ma una sorta di famiglia parallela pubblicamente vissuta.

Pier Maria lascia la famiglia? No raddoppia

Si arrivò addirittura allo “sdoppiamento” delle residenze con Pier Maria e Bianca ad occupare le nuove fastose costruzioni di Roccabianca e Torrechiara, nomi più che parlanti, ed Antonia e i figli ad abitare – ed anche questo è un dato simbolico – la rocca “storica” di San Secondo, che, in quel periodo, venne opportunamente ammodernata, riadattata ed abbellita, a riprova del rispetto che mai venne meno tra i due coniugi: sembra quindi del tutto impropria la vulgata, cara a taluni romanzieri, della povera moglie “relegata” nella triste San Secondo lontano dal marito.

Certo dovette essere una situazione delicata, affrontata però da Antonia con una reazione da manuale che le fruttò la stima generale, compresa quella degli uomini e degli adulatori (dovette essere ben abile!) del marito.

Ben conscia che il suo legame con Pier Maria rispondeva a logiche del tutto diverse dalla passione amorosa, che questi nutriva per Bianca, a quelle si attenne, continuando a sostenere il marito in quell’ambito che era il “suo” e che la rivale non poteva sottrarle, la politica e l’accrescimento del prestigio della famiglia Rossi: trattandosi di una Torelli l’episodio simbolo della scelta di campo operata non poteva essere che di stampo bellico.

Rocca San Secondo

Ferma sulle sue posizioni non esitò, infatti, a imbracciare, degna figlia di Orsina, lancia e scudo per impedire una sollevazione di Parma contro il Duca di Milano, cui la città aveva offerto la propria dedizione.

Si trattava di una situazione di grave rischio che poteva compromettere non solo la relativa tranquillità cui si era giunti dopo anni di guerra continua, ma anche la posizione del marito, che di quella dedizione era in qualche misura il garante.

In calce al ritratto di Orsina, fra Filippo da Bergamo ci ricorda infatti che “agitata una volta Parma da alcuni facinorosi, e ribellatasi a Francesco Sforza, Duca de’ Milanesi, rivendicasse in libertà; ma che, venuto ciò a sapersi da Antonia Torelli, moglie di Pier – Maria Rossi, questa valorosa si portasse con forte mano di armati a Parma, la ricuperasse allo Sforza, e vi ponesse vigoroso presidio”.

Alcuni studiosi hanno creduto di ravvisare in questa vicenda un “doppione” del recupero di Guastalla ai Torelli operato dalla madre Orsina, in quanto nella storia di Parma non si ha menzione di una rivolta contro lo Sforza, ma occorre ricordare quanto fosse confuso quel periodo in cui Francesco, in una continua altalena di rapporti ostili/cordiali con il suocero Filippo Maria, ottenne infine il Ducato di Milano

Antonia, bona uxor

La vicinanza cronologica e la conoscenza degli avvenimenti storici da parte di fra Filippo fanno quindi propendere non tanto per un errore quanto per un’amplificazione dell’accaduto in chiave di glorificazione di Antonia, bona uxor. Si sarà trattato forse non del recupero di una città ribelle, quanto della pacificazione di una delle tante rivolte di piazza, cui la donna, grazie alla sua personale formazione militare, pose velocemente termine con pugno di ferro, evitando il rischio di pericolosi interventi esterni da parte di uno Sforza irrequieto per la difficile situazione personale o di altri soggetti interessati a rimestare nel torbido.

Purtroppo né l’irreprensibile comportamento personale, che le avevano garantito il rispetto e la stima universale, né il coraggio in battaglia misero Antonia al riparo dai drammi famigliari.

Torrechiara, cortile interno

Un asse ereditario troppo affollato

I figli, in particolare il primogenito Giovanni e l’arrogante Giacomo, condottiero di ventura di buon successo, entrarono ben presto in contrasto con il padre, in parte per le differenti visioni politiche soprattutto in relazione ai rapporti con Milano, in parte per l’intolleranza verso le ricadute pratiche della relazione del padre con Bianca.

Non accettavano, infatti, che, in un asse ereditario già affollato, venissero inseriti quali ulteriori coeredi/rivali i figli che Pier Maria aveva avuto dall’amante, che pure figuravano formalmente come appartenenti alla famiglia d’Arluno.

Con il testamento del 1464, che veniva a sedimentarsi su questi anni di frizioni, il padre giunse addirittura all’espulsione di Giovanni e Giacomo dalla linea testamentaria, segnando un punto di non ritorno per le fortune della casata.

Torrechiara

Inoltre la passione per le residenze principesche che portò Pier Maria a costruire ex novo i manieri di Roccabianca e Torrechiara, ma anche a restaurare tutti gli altri possedimenti, in una sorta di fanatica passione per la progettualità edilizia, non costituiva certo un toccasana per le finanze familiari.

Il declino della famiglia

Per Antonia, che aveva impostato la sua intera vita nella difesa del casato dei Rossi, fu un colpo pesantissimo, solo in parte sanato dai successi che stava mietendo in ambito ecclesiastico il quartogenito Bernardo, che continuava ad avere corretti rapporti, almeno formali, con il padre.

Almeno però le fu risparmiato l’episodio più triste e cruento dell’intera saga familiare, la cosiddetta “guerra dei Rossi”, che, divampata per volere di Ludovico il Moro nel 1482, sfruttando abilmente i veleni familiari, portò alla rovina la famiglia più potente di Parma, del cui vasto dominio, alla fine di un anno di guerra, rimase ben poco.

Antonia morì infatti nel 1468, pochi mesi dopo l’amato Bernardo, probabilmente per la peste che imperversava in città, nel quartierino prossimo al convento di San Paolo, dove la guerriera aveva trovato ancora una volta un porto di quiete.

Maria Giovanna Trenti ©

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