DONNE d’Arme – Orsina Visconti, nata intorno al 1380, era figlia di Antonio Visconti signore di Somma (oggi Somma Lombarda), esponente di spicco della potente famiglia e del partito ghibellino lombardo, e forse della seconda moglie Anastasia Carcano, appartenente anch’essa ad un’antica famiglia milanese.
Orsina Visconti Torelli
Tra la fine del 1300 e gli inizi del nuovo secolo venne data in sposa a Guido Torelli, in quegli stessi anni infeudato di Guastalla e Montechiarugolo, militare provetto, ma soprattutto abile nel giostrarsi tra i vari signori emiliani, conservando un rapporto privilegiato con i Visconti, intenzionati ad assicurarsi il controllo sull’Emilia, grazie a uomini di fiducia non legati ai potentati locali.

Come per le precedenti eroine all’inizio la vita matrimoniale di Orsina si svolse tutto sommato tranquilla nella piccola corte padana, di cui senza dubbio la castellana, anche per l’importanza e i contatti della famiglia d’origine e la frequente assenza del marito, era fulcro economico e culturale, per poi subire un’improvvisa accelerazione, che la catapultò sulle pagine della cronaca storica e, a parer nostro, della Storia (con la “S” maiuscola come si diceva una volta).
Il battesimo del fuoco, almeno in termini morali, Orsina lo ebbe nel groviglio di eventi seguito alla orrenda morte (1409) di Ottobuono Terzi, alle cui dipendenze militava il marito: Guido, fatto prigioniero da Nicolò III d’Este, seppe, con abile spregiudicatezza, cattivarsene le simpatie ed ottenne la libertà, consegnando però come ostaggi “Marsilio suo padre, Orsina sua moglie, e il tenero figliuoletto Cristoforo, i quali condotti a Ferrara ebbero albergo nel Palazzo dell’Estense, e vi furono trattati come alla loro condizione si conveniva”. Anche questo era un rischio dei tempi.

L’episodio non intaccò il rapporto di fiducia tra i due coniugi, tanto che nel 1422, durante le manovre contro Genova, Guido, impegnato in prima persona in favore dei Visconti, lasciò il governo di Guastalla alla moglie, come doveva essere accaduto in numerose altre circostanze, mostrando un’assoluta fiducia nella sua competenza e saggezza.
Tutti passaggi importanti per preparare Orsina a quello che fu l’episodio centrale della sua vita.
Le ostilità tra Milano e Venezia
Nel 1426 le ostilità tra il Duca di Milano e i Veneziani avevano raggiunto il calor bianco: il Carmagnola (sì proprio quello del Manzoni) aveva preso Brescia con l’eccezione della Cittadella, che continuava a resistere, e una potente flotta, composta di “diciotto galeoni, tre galere, cinque barbotte, e quaranta barche cariche di milizie” aveva risalito il Po, attaccando Casalmaggiore e Brescello. Guastalla, che dista da Brescello una decina di chilometri, si trovò in una sorta di tenaglia, visto che Luzzara, situata a una decina di chilometri dall’altro lato, era in mano agli alleati di Venezia.
L’esercito nemico contava di prendere facilmente la città, stante l’assenza in contemporanea di Guido e di Orsina, che, come testimonia l’Affò, nel pensiero del popolo (vox populi, vox dei) si equivalevano quanto a capacità belliche “Grandissimo fu il timore del popolo, che non solo era privo della presenza di Guido, ma eziandio di quella della valorosissima Orsina, recatasi in quel tempo a dare provvedimento altrove. Era costei molto coraggiosa, e nel mestiero delle armi grandemente addestrata, e potuto avrebbe di leggieri far fronte al nemico: essendo però lontana, rimaneva la Terra in guardia soltanto di alcuni Stipendiarj tratti da Castelnuovo, inabili a resistere all’impeto di armata gagliarda”.
Orsina a difesa di Guastalla
Ben faceva il popolo di Guastalla a fidarsi di Orsina, visto che “avvertita la Donna forte di quanto succedeva, e veduta l’occasione di far prova del suo valore, chiamò tosto da Parma assai fanti, e balestrieri, de’ quali fattasi condottiera ella stessa, venne ad insultar quelle schiere che alla sua Guastalla strage minacciavano e ruina. Fu bello il vederla di lucid’armi coperta frenar generoso destriero, disporre i suoi seguaci a battaglia, ed esortarli con acconcie parole alla pugna; ma fu terribile ancora il rimirarla scagliarsi addosso alle ostili squadre, sbaragliarle, e fugarle. Lasciò ella morti più di cinquecento Schiavoni sul campo, vari de quali caddero dal braccio di lei stessa trafitti: onde spaventato il rimanente dell’esercito diedesi precipitosamente alla fuga. Di questo egregio fatto lasciò piena ed illustre testimonianza fra Jacopo Filippo da Bergamo, come pure Giambatista Fulgoso, seguiti da molti altri che di questa valorosa Amazone ragionarono”.
Una guerriera reale aveva trovato i suoi cantori: nulla che si possa paragonare alle mitiche Amazzoni e a Camilla che furono celebrate da Omero e Virgilio, ma meglio del silenzio in cui sono state confinate molte altre.

I Guastallesi che, a battaglia vinta e saccheggio scampato, l’accolsero “con infinito giubilo”, ritennero inoltre opportuno omaggiarla con il “farne dipingere il ritratto nella Chiesa di San Bartolommeo”, purtroppo andato distrutto con la Chiesa stessa molto tempo fa, ma che un testimone oculare degno di fede descrive in questi termini “l’imagine d’Orsina vedesi dipinta a fresco da Pittore non affatto rozzo di que’ tempi in un muro della Chiesa di S. Bartolommeo in Guastalla, dall’ aspetto di cui, che tiene del terribile, appare quanto fosse viva e risentita d’animo”.
Anche le armi indossate in quella fatidica giornata assunsero presto il ruolo di simulacro e furono conservate “come il più nobil trofeo che adornar potesse l’Armeria della Rocca Guastallese… trovandosi espressamente accennata in un inventario di tutti gli attrezzi militari della medesima”.
Questa giornata campale non segnò purtroppo il termine delle ostilità: seguirono per parecchi mesi insistenti scorrerie e molestie, ma Guastalla “non poté tuttavia venir giammai in poter loro, tanto guardavasi dal braccio valoroso di Orsina”.
Terminata questa fase di operazioni militari, seguirono anni di relativa serenità in cui i conti di Guastalla si dedicarono principalmente all’amministrazione del feudo, con interventi diretti di Orsina, che intorno al 1440 fece promulgare una grida “lodevolissima … contro tutti i giuochi di azzardo, e di dadi, vietando qualunque sorte di bagordo giornaliero o notturno nelle osterie, e l’altra diretta a reprimere la temerità di coloro, che osavano di recar danno alle altrui vigne”.
I figli di Guido e Orsina
Si occuparono anche del futuro dei figli superstiti: nel 1428 vennero infatti stipulati i contratti matrimoniali di Cristoforo con Taddea Pio di Carpi e di Antonia con Pier Maria de’ Rossi di Parma, mentre molto più tardi (1449) Pietro Guido sposò Maddalena del Carretto, figlia dei Marchesi di Finale Ligure.
Matrimoni tutti di grande rilievo per una famiglia, i Torelli, di nobiltà recente e con possedimenti tutto sommato contenuti. Molto probabilmente ancora una volta Orsina e quel suo cognome così importante dovettero avere un peso significativo per convincere le controparti a siglare i contratti.
Guidò morì nel 1449 e Orsina diede prova di non essere solo una virago guerriera, ma anche una saggia donna di governo: lasciò il potere ai due figli senza innescare quelle tensioni tra eredi che portavano spesso alla rovina le signorie minori, con la madre schierata in favore dell’uno o dell’altro, quando non dei propri personali diritti.
Morì due anni dopo nel 1451 – ad un’età di assoluto rispetto per quel tempo, segno di un fisico robusto, ma anche abilmente gestito – e fu sepolta nell’antica Basilica Milanese di Sant’Eustorgio “dove appunto ancora si vedono i Sepolcri de’ Visconti Marchesi di Cislago, e specialmente quello di Regola moglie di Batista Visconte fratello della nostra Contessa”.
La Cappella Torelli
In questa Chiesa, sorta di Pantheon visconteo, si trova la splendida Cappella Torelli, monumento funerario, attribuito al celebre Jacopino da Tradate, “capo dei maestri di pietra” del Duomo di Milano, voluto da Guido e Orsina per Pietro, forse il figlio primogenito, morto giovanissimo nel 1416. Realizzato in marmo bianco, presenta un’arca, sostenuta da sei coppie di eleganti colonne tortili con leone stiloforo, su cui giace la statua del defunto in abiti militari. Il sarcofago è impreziosito da sei nicchie, che contengono altrettante statue di santi, e da una centrale più ampia, in cui è collocata l’immagine della Beata Vergine sedente con il Bimbo in braccio, che allarga il proprio manto su Pietro, inginocchiato ai suoi piedi. Il fastoso monumento è completato da un padiglione marmoreo e da un elaborato tempietto gotico con statua del Padreterno.

La lapide funebre, oggi perduta, ma tramandata da trascrizioni settecentesche, risulta nel complesso oscura, forse anche per il cattivo stato in cui già versava in antico (di seguito si riporta il testo del Caffi) “O passeggiero se in qualche modo ti cale di questa sepoltura, sappi che ha in questo monumento le spoglie il conte Pietro Torelli. Lo superò nel consiglio, nell’età e nelle armi il genitore Guido pari a Nestore, benché Teti non fosse eguale all’anguigera madre. Fino dalla tenera età io venni appellato il fiore della milizia, e fanciullo ancora io fui quello che già adulto fu Achille. Sforza vide a noi soccombere mille valorosi, e la prima palma fu tributata al mio valore. O quante volte egli disse mentre vedeva cose appena credibili: fa, o sorte, fa ch’ei viva, ma essa nol concesse più a lungo. Invida delle nostre laudi troncò la dolce giovanezza, e con isdegnosa voce pronunciò: sia polve. Nell’anno 1416 io vidi sparirmi dinanzi i dì felici. Diciotto giorni numerava il fiorente aprile quando il mio fiore in te cadde, o terra di Carpi”.
Colpisce il tono letterario del lungo testo, che si incentra sul parallelismo Pietro/Achille: in questo gioco di rimandi, Orsina non solo viene esplicitamente citata – fatto non così usuale ai tempi – ma anche paragonata a Teti, la dea madre di Achille, sottolineando con l’aggettivo anguigera la sua nobile ascendenza, quel serpente visconteo, che, secondo attendibili testimonianze, decorava la tomba insieme alle armi Torelli.
Facile ipotizzare che a Orsina siano riconducibili sia il posizionamento della tomba nella Chiesa viscontea per antonomasia, sia la scelta di uno scultore importante come Jacopino: un vero signore rinascimentale, che sapeva unire senza impacci l’arme e l’arte.
Maria Giovanna Trenti ©
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