DONNE d’Amor – La sventurata rispose. Una delle frasi più celebri della letteratura italiana scolpisce il destino drammatico che perseguitò per secoli le donne che pretendevano di amare liberamente o, anche più banalmente, di intessere una fugace relazione che appagasse, come nel caso di Gertrude, il tedio di una vita imposta da altri.

Il contratto di matrimonio

In passato il destino dei figli e soprattutto delle figlie era, infatti, pienamente nelle mani dei genitori, che, tra le altre cose, decidevano circa il loro matrimonio sulla base di valutazioni economiche e di opportunità, prescindendo dai sentimenti degli interessati: che i due futuri coniugi si piacessero era un fatto accessorio, che si amassero un mero accidente. Usualmente si pensa che questo approccio fosse tipico delle famiglie potenti e/o ricche, mentre in realtà era diffuso in ogni livello sociale: da un lato entravano in gioco alleanze, palazzi, vaste proprietà o titoli nobiliari dall’altro casupole, piccoli poderi o un modesto avanzamento sociale, ma l’attenzione agli aspetti pratici anziché ai sentimenti dei protagonisti era la medesima.

Almeno in questo vi era equità tra uomini e donne: la storia è infatti piena di ragazze e ragazzi recalcitranti, obbligati con metodi assai spicci a seguire la strada scelta per loro dai genitori.

Dopo le nozze

Con il matrimonio terminava l’uguaglianza dei sessi: A nozze concluse le emozioni dei coniugi, sin lì gestite dalle rispettive famiglie con analoga indifferenza, subivano un destino del tutto diverso.

Ai maschi era, infatti, consentito l’amore passione fuori casa, a patto che non diventasse un “pericolo” per l’istituzione matrimoniale, che andava sempre tutelata. Nessuna famiglia della sposa sarebbe mai intervenuta per un figlio “naturale”, come si diceva graziosamente all’epoca, se non andava a ledere i diritti di quelli legittimi, o per la presenza di un’altra donna, magari anche costante nel tempo, se ruolo e spazi della moglie non venivano intaccati.

Per le donne, la cui acclarata fedeltà era garanzia di legittimità della prole, le cose andavano in modo molto diverso: o mettevano a repentaglio tutto, forse anche la vita, per vivere il proprio amore o al massimo poteva aspirare, se l’ambiente di appartenenza lo consentiva, a uno di quegli amori cortigiani che, con varie forme, si riscontrano dal Medioevo al Settecento, adatti a stuzzicare più la vanità che il cuore o i sensi. Facendo però ben attenzione a non dare scandalo, perché in quel caso la malcapitata rischiava moltissimo, persino la vita e nessuno, neppure la famiglia paterna, avrebbe alzato un dito per difenderla.

Se l’amore passionale dell’uomo era accettato, purché non si rivelasse socialmente dannoso, quello della donna era intrinsecamente inaccettabile e quindi andava represso oppure ostracizzato.

Cosa cambia nell’Ottocento

Con l’Ottocento – si badi per il solo mondo occidentale – qualcosa iniziò a cambiare e l’amore romantico si impose quale fattore centrale nella formazione delle coppie per divenire poi nei decenni successivi l’elemento fondamentale. In realtà all’inizio il cambiamento fu lentissimo e circoscritto ad alcune classi sociali – essenzialmente i nobili, l’alta borghesia e gli intellettuali – come testimonia la letteratura di consumo del tempo, che veniva divorata avidamente da tutte quelle ragazze che sapevano un poco leggere, contribuendo in modo decisivo, nonostante gli indiscutibili limiti, all’evoluzione dell’universo femminile.

Tra i cavalli di battaglia del romanzo popolare troviamo infatti la fanciulla malmaritata per volontà dei genitori, la quale, travolta dall’amore per un altro uomo, paga duramente la propria scelta di vita. Decidere liberamente chi amare era ancora una “cosa da uomini” e le donne che pretendevano di fare altrettanto delle pericolose sovvertitrici dello status quo, cui doveva essere riservata una triste fine per garantire la moralità delle giovani lettrici: queste ultime, naturalmente, si immedesimavano nell’eroina e il costume cambiò ad una velocità inattesa.

Amor e altri ambiti…

Ad onor del vero le cose andavano allo stesso modo per la vita religiosa, un altro tipo di amore, che poteva essere imposta o negata a seconda dei “bisogni” della famiglia di origine: accanto a sacerdozi e monacazioni frutto di esigenze familiari non erano rari i casi di persone con sincera vocazione obbligate a contrarre matrimonio.

Maria Beatrice d’Este

Si pensi al caso eclatante della quindicenne Maria Beatrice d’Este, che aveva sempre manifestato un forte desiderio di entrare in convento e fu invece obbligata a sposare il quarantenne, vedovo e vaioloso Giacomo II Stuart: all’inizio la ragazza tentò persino di opporsi, ma se il Papa, il Re Sole e persino tua madre hanno deciso che ti vogliono sul trono d’Inghilterra nella speranza di riportare la nazione al Cattolicesimo, o hai un coraggio da leone o non ti resta che chinare il capo.

Ancora più difficile difendere il proprio diritto ad essere una donna sola per libera scelta, una “single”, tanto che tutti tendiamo a pensarla figura solamente contemporanea: eppure anche nel passato ci furono donne capaci di sottrarsi al binomio moglie/suora per vivere in libertà la propria esistenza, senza un uomo a limitarne l’autonomia.

La più celebre di tutte ovviamente fu Elisabetta I, la regina vergine – quanta ironia nelle corti europee su quell’appellativo – che, con rara astuzia, seppe aggirare i continui tentativi dei propri cortigiani di affibbiarle un principe consorte.

In questo caso il temperamento doveva esser di acciaio puro.

Elisabetta I d’Inghilterra

Con una volontà d’acciaio

Proprio alle donne con una volontà d’acciaio è dedicata questa sezione delle Donne di classe A, a quelle che, in un quadro così difficile, seppero difendere il loro diritto ad amare liberamente qualcuno o, cosa altrettanto se non più importante, sé stesse, pretendendo rispetto e dignità per la loro persona e le loro scelte.

Non andò sempre bene e molte di loro pagarono con la vita o con un devastante ostracismo sociale una scelta così forte e controcorrente, ma qualcuna riuscì a dare alla propria esistenza l’impronta voluta.

Certo uno status sociale particolarmente prestigioso o una rara fortunata congiunzione di avvenimenti aiutavano, ma occorrevano intelligenza, razionalità e soprattutto fiducia in sé stesse per amare liberamente in un mondo di uomini.

Maria Giovanna Trenti ©

Miria Burani ©