DONNE d’Arme – Immaginate di essere una raffinata fanciulla dei Pico, signori della Mirandola, sul finire del 1400: vostro zio è Giovanni Pico, il sapiente dei sapienti, ammirato dal mondo intero; vostro padre, Galeotto I, signore della città, è un irrequieto quanto abile capitano, i cui servizi sono contesi da Veneziani e Fiorentini e vostra madre è forse Bianca Maria d’Este, sorella di Borso, Duca di Ferrara, ma i documenti tacciano in merito.

Pico della Mirandola

Papà, per di più, è un farfallone e di fratelli/sorelle di altra madre, che vivono a corte con voi, ce ne sono almeno un paio: nulla di scandaloso, anche Bianca Maria è stata legittimata, in quanto nata fuori dal “sacro vincolo”.

Un ambiente piccolo, ma vivace, illuminato, anche se indirettamente, dalla figura dello zio Giovanni, in cui si costruiscono chiese e palazzi in stile moderno, si affrescano pareti, si dipingono quadri e si compongono opere letterarie: non per caso vostra nonna, Giulia Boiardo, è la zia di Matteo Maria, l’autore dell’Orlando Innamorato.

La bellissima Ferrara e gli zii d’Este sono tutto sommato a portata di mano, nonostante la viabilità lasci a desiderare, e da lì arrivano le novità politiche e militari, ma anche le nuove tendenze in fatto di abiti e acconciature.

In verità fin da piccola vi hanno anche spiegato che il vostro matrimonio, alla faccia dei poeti che cantano d’amore, in primis il vostro parente Boiardo, sarebbe stato “una faccenda politica” utile a rinsaldare amicizie e placare ostilità, invitandovi caldamente a non “fare storie”.

Inoltre, visto che i vostri potenziali pretendenti praticheranno per lo più il mestiere delle armi e saranno spesso assenti dal feudo, vi hanno anche educata sia a gestire il potere amministrativo sia a prendere, se necessario, decisioni militari.

Castello di Montecuccolo

Immaginate tutto questo e subito dopo di trovarvi sposata a un tizio, che di nome fa Frignano, ed è tutto un programma, e di cognome Montecuccoli, e qui va un po’ meglio, ma viene dal lontano e selvaggio Appennino e voi, se vi è andata bene, lo avete incontrato qualche rara volta mentre veniva a parlare di lavoro – entrambi capitani di ventura – con vostro padre, o, se vi è andata male, neppure il giorno delle nozze, perché di solito il contratto viene concluso per procura.

Non bastasse, il tizio non ci pensa proprio a prender casa stabilmente a Ferrara, o almeno a Modena: si va proprio sull’Appennino modenese, a Montecuccolo, un “nido d’aquila” a strapiombo sul nulla, o a Montecenere, un piccolo borgo da raggiungere su strade impraticabili, circondato da alte montagne e fitti boschi, dove in inverno la neve si misura a braccia (non poche) e i predatori – uomini e bestie – si avvicinano tutto l’anno pericolosamente per razziare quel po’ che c’è.

Nessuna città degna di questo nome, ma solo centri fortificati, castelli spartani, qualche mercato, qualche fiera e qualche ambulante audace che si avventura su carrettiere impervie con guadi improvvisati.

Forse vi sareste perse d’animo, per ferrea che fosse stata la vostra educazione, ma non Camilla Pico in Montecuccoli, ricordata ancor oggi come l’eroina di Montecenere.

Montecenere (foto Cinzia Canovi)

I Modenesi conoscono Montecenere come un delizioso paesino di qualche centinaio di abitanti a metà strada tra Pavullo nel Frignano e Lama Mocogno, il cui richiamo è particolarmente forte in quei fantastici periodi di caldo umido che regala la pianura padana: il cittadino sudato riesce a trovare qui un po’ di ristoro in un ambiente fresco e quasi montano.

Inoltre 750 metri sul livello del mare vanno bene per tutti e vi si gode una spettacolare veduta del Cimone: allungando il braccio sembra di toccarlo.

Il paese, immerso in un’ampia vallata, è circondato da spazi verdi e da grandi boschi, che sfiorano qua e là l’abitato, generando un ambiente da idillio silvestre, con antiche case ben tenute e una piccola Chiesa, la cui grazia medioevale non è stata compromessa dai tanti rimaneggiamenti subiti.

Ma questo aspetto rassicurante, come in ogni giallo che si rispetti, nasconde ben altro: basta osservare la torre dell’orologio per notare che costituisce l’unico, non agevole, ingresso al borgo fortificato, su cui incombe, cupa mole compatta, la grande torre.

Questo edificio ci restituisce con forza potente l’immagine di un tempo sanguinario, dove rari erano i periodi di pace, l’alleato di ieri era il nemico di oggi e non mancavano, in sovrappiù, scorrerie continue di razziatori, in proprio o assoldati come comodi e poco costosi alleati dagli eserciti regolari.

Ci ricorda inoltre che, per lunghi secoli, Montecenere, al centro della modesta, e per questo tanto più preziosa, rete viaria medioevale, fu uno dei caposaldi della linea di difesa dei Montecuccoli, i più potenti e temuti tra i Capitani del Frignano.

Da sempre indipendenti, abituati a uno stato di guerriglia continua con gli altri Capitani e gli scomodi tiranni guerrieri dell’Appennino bolognese, mal tolleravano gli Estensi, assai più forniti di uomini e mezzi, che da Modena rivendicavano diritti sulla montagna, ma furono abili a gestire la situazione.

Mentre gli altri, in primis il leggendario Cavaliere Nero Obizzo da Montegarullo, andarono allo scontro sino a venirne schiantati, i Montecuccoli traccheggiarono, tanto da salvare i loro feudi ed ottenerne l’investitura dall’odiato Duca: in questa operazione si segnalò l’intelligente e abile Cesare, il suocero di Camilla, che aveva saputo assumere modi e comportamenti cortigiani durante i lunghi anni passati presso gli Estensi.

Proprio lui utilizzò ampiamente, tra le tante tecniche per salvare il salvabile del patrimonio avito, le alleanze matrimoniali con altre potenti famiglie, meglio se della pianura: i suoi due capolavori furono le nozze dei figli Frignano con Camilla Pico e Lodovico con Margherita Pio.

Montecenere (foto Cinzia Canovi)

Questo tipo di matrimonio, che a noi pare innaturale, in realtà era una tutela per le giovani spose, spesso allocate lontanissimo dalla famiglia d’origine: garantiva status, autonomia e sicurezza in quanto la loro presenza era il mezzo per “sdoganare” la famiglia acquisita presso i grandi del tempo.

Non sappiamo quali fossero i rapporti tra le due cognate, stante anche quelli pessimi tra le famiglie di provenienza, ma i cronisti avevano ben altri problemi di cui occuparsi e le poche lettere superstiti delle due donne sono missive ufficiali, che trattano di affari politici e amministrativi.

Di sicuro furono dalla stessa parte, quella estense, e non fu una scelta facile, nel famigerato 1510 e diedero prova entrambe di abilità politica e militare, difendendo in prima persona i possedimenti familiari, in assenza dei mariti (prigioniero Frignano, morto Ludovico) e con figli minori a carico.

Camilla era nata intorno al 1475 e quindi era giovanissima, secondo il classico uso del tempo, quando nel 1490 sposò Frignano Montecuccoli, forse il primogenito del conte Cesare e di Taddea Perondoli di Ferrara, di cui non conosciamo la data di nascita. Si può tranquillamente ipotizzare che fosse alquanto più vecchio di lei (altra abitudine del tempo), visto che, al momento delle nozze, aveva già militato agli ordini del suocero.

Per una ventina d’anni ignoriamo tutto della vita di Camilla: la possiamo immaginare impegnata a gestire l’amministrazione del feudo, in quanto il marito era spesso assente, a tenere vivo quel barlume di vita di corte che poteva svolgersi nei castelli-fortilizio della montagna e a mettere al mondo una nidiata di figli. Abbiamo il nome di sette maschi: Federico, Galeotto, Cesare, Lodovico, Francesco, Sigismondo e Andrea, tutti battezzati con nomi che richiamano quelli in uso presso i Montecuccoli, ma anche quelli usuali presso i Pico. L’assenza di figlie femmine, statisticamente sospetta, fa ipotizzare che gli eredi fossero anche qualcuno in più, magari donne di cui non ci è giunta notizia.

Questo tran-tran tutto sommato pacifico fu sconvolto nel 1510, quando Papa Giulio II, dopo continui cambi di alleanze, prima in chiave antiveneziana, poi antifrancese, scomunicò Alfonso I d’Este, con cui era stato alleato sino a poco prima e gli mosse guerra.

Ai grandi temi politici sottostanti di rilevanza europea, quali il contenimento del potere prima veneziano e poi francese, se ne sommavano due specifici: il sogno papale di ampliare lo stato della Chiesa annettendo le piccole realtà amministrative, in cui era frammentata l’attuale Emilia-Romagna, e il disappunto per la concorrenza che le saline di Comacchio facevano a quelle di Cervia. La prima mossa fu di occupare Modena, con la connivenza dei Rangoni, cui seguirono Carpi, San Felice, Finale e Bondeno.

Invece la patria di Camilla, la Mirandola dei Pico, città-fortezza tra le più munite del tempo, rimase fedele agli Estensi anche perché, in un quadro di lotte famigliari tutt’altro che edificante, era allora governata da Francesca Trivulzio, vedova di Ludovico I, tutrice del figliastro Galeotto II, ma soprattutto figlia del maresciallo di Francia Gian Giacomo Trivulzio. Questa scelta di campo costò a Mirandola, nell’inverno 1510-1511, un terribile assedio, cui partecipò lo stesso Pontefice, con grave scandalo di molti cristiani. Perfino il cautissimo Guicciardini, uomo del Papa, sottolinea come la cosa apparisse “agli occhi degli uomini molto nuova“.

In questo quadro la situazione del Frignano era oltremodo variegata, con i piccoli feudatari che inseguivano il loro supposto vantaggio immediato, ma i Montecuccoli (in verità non tutti) scelsero di restare fedeli al Duca e forse la presenza di Camilla non fu estranea a questa decisione, che viene naturale collegare alla scelta operata a Mirandola.

La fedeltà al partito ducale di buona parte della montagna non piacque ai collegati della Lega Santa, che vi inviò 5000 fanti e 500 cavalieri bolognesi capitanati da Giovanni Sassatelli da Imola detto il Cagnaccio.

Per intercettarli si mossero le truppe filoestensi al comando di Frignano, che aveva con sé il “piccolo figlio Federico”, e del fratello Baldassarre detto Bersanino, all’epoca commissario ducale della Garfagnana.

In una località imprecisata della Val Samoggia si arrivò allo scontro che vide prevalere le truppe papali: durante la battaglia, che fu alquanto sanguinosa, Bersanino riuscì per miracolo a fuggire riparandosi entro Montetortore, mentre un capitano bolognese di secondo piano, tale Alessandro della Volta, fece il colpo della vita prendendo prigionieri il conte Frignano e il figlio, che vennero trattenuti nella città felsinea. Nel gennaio seguente, infatti, dopo avere tentato invano di ottenere la dedizione del castello di Montecuccolo, chiese per la loro liberazione la notevole somma di 3000 ducati.

Camilla non si perse d’animo: tranquillizzò la propria preoccupazione per Frignano e soprattutto per Federico formulando un voto ad un’effigie di Sant’Antonio, che si venerava nella cappella di San Lorenzo a Montecuccolo, fatta costruire poco prima dal suocero Cesare, prese in mano la situazione e decise di resistere, nonostante sul suo capo pendesse la scomunica in quanto seguace degli Este.

Si rinserrò quindi a Montecenere, che evidentemente riteneva fortezza solida, ben munita e fedele a tutta prova, con un gruppo di uomini esperti del difficile territorio montano, e attese i nemici, fossero Spagnoli, come vuole la vulgata, o più probabilmente Bolognesi, come riporta un’attendibile cronaca locale.

Anche la cognata Margherita, vedova di Ludovico, dai suoi castelli di Semese (presso Verica) e Sassostorno (su una roccia vulcanica oltre Lama con possibilità di vigilare anche la Valle dello Scoltenna) giocò abilmente la sua partita, creando con Camilla una sorta di antemurale a Montecuccolo, cui puntavano i nemici, come cuore dei possedimenti: rinserrata nelle sue rocche ben munite e difese, non solo tenne testa a Gherardo Rangoni che sobillava contro di lei gli abitanti di Mocogno e Vaglio, ma riuscì ad informarne il Cardinale Ippolito d’Este, che in quei terribili mesi fu la mente della guerra, quanto Alfonso ne fu la mano militare.

Di certo i nemici – Spagnoli o Bolognesi poco conta – avranno maramaldeggiato un po’ sapendo che i Capitani del Frignano stavolta erano due donne ed avranno probabilmente abbassato il livello di attenzione: mal gliene incolse.

Non avevano calcolato che Camilla, mostrando un notevole fiuto militare, aveva scelto una solida fortezza, di cui conosceva a fondo le potenzialità strutturali e difensive, ma aveva anche raccolto intorno a sé uomini fidati e da sempre avvezzi a combattere quel particolare tipo di guerriglia che richiedono i territori impervi.

Al momento giusto attaccò su un terreno a lei favorevole, sconfisse il distaccamento nemico e fece persino parecchi prigionieri.

A questo punto la vicenda volge al noir: seguendo una “prassi” diffusa al tempo, la donna decise che la sorte di questi prigionieri fosse di duro monito agli assedianti e scelse un supplizio che ben si confaceva all’ambiente selvaggio.

Li fece portare sul punto più alto del mastio e buttare giù a sfracellarsi sull’impervio terreno sottostante tra sangue e urla strazianti: come in ogni fatto truce che si rispetti c’è qualcuno che giura ancor oggi di sentire orribili gemiti provenire da quel punto, ovviamente nelle notti senza luna.

Questo episodio, che a noi provoca ribrezzo, non toccò minimamente la sensibilità degli uomini del tempo e non scalfì la fama di combattente che Camilla si era guadagnata sul campo, anzi ne accrebbe l’immagine di “virago”.

Raimondo Montecuccoli

Guido Postumi, commissario ducale, nel dicembre 1510, così ne scriveva, infatti, al duca Alfonso, riconoscendone non sola la fedeltà, ma anche la tempra di guerriera: “La moglie del conte Frignano Montecuccolo è stata una virago in servire fedelmente all’Illustrissima casa vostra, ed è stata in mille modi, in absenza del suo consorte, combattuta tanto dal Legato che da taluni dei suoi sudditi”.

Passata questa terribile tempesta la vita di Camilla ritornò su binari più quotidiani, ma forse non meno faticosi. Frignano, liberato dopo pochi mesi grazie all’intervento degli Este, sopravvisse, infatti, pochissimo: toccò quindi a lei l’usurante battaglia legale per riavere i beni Montecuccoli, che erano stati espropriati nel corso della guerra in favore dei Rangoni e per il ristoro dei danni patiti dalle proprietà familiari.

Come non bastasse la litigiosità tra i vari rami della famiglia era all’apice e da Ferrara si intervenne con l’invio di commissari ducali, invadenti ed arroganti, che sembravano ignorare il ruolo centrale svolto dalla donna nella difesa del Ducato.

In questo quadro desolante, le uniche gioie le venivano dai figli, in particolare da Federico, che si stava facendo un nome a corte, dove aveva sposato la ferrarese Lucrezia Brasavola.

Altrettanto orgogliosa però sarebbe stata di un suo discendente, quel Raimondo Montecuccoli, luogotenente generale dell’Impero, nell’immaginario collettivo il vincitore dell’esercito turco che nel 1664 puntava su Vienna.

A noi piace pensare che nel genio militare di Raimondo convivessero l’esperienza di generazioni di Capitani del Frignano, ma anche il coraggio di Camilla che seppe gestire con abilità e durezza una situazione assolutamente difficile per una donna (sola) in armi, stretta tra nemici e traditori.

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