DONNE d’ Arme – Quasi tutti gli eserciti oggi contano reparti femminili, ma qual era la situazione del passato, quando i ruoli di genere erano molto più definiti e, almeno secondo la vulgata, le donne (assodato il possesso di un’anima) filavano, tessevano, si astenevano dall’esprimere una qualsivoglia autonoma opinione e, quando del caso, svenivano. Figurarsi imbracciare la spada o tendere l’arco.
Eppure, scalfendo appena un po’ la superficie del luogo comune (tanto comodo come protezione contro le recalcitranti, ma dai… è sempre stato così e via di risatina ironica), emergono dalla storia – lasciando per il momento da parte il mito – profili di donne che non solo, durante l’azione di governo, decidevano guerre, campagne e alleanze, ma in battaglia ci andavano proprio, con tanto di elmo e corazza.
Grandi sovrane
Questa del peso fisico delle armi, che avrebbe reso impossibile l’attività militare alle donne almeno sino a quando non sono comparse quelle da fuoco, è stato ed è uno dei capisaldi a supporto dell’angelo del focolare: mettersi un’armatura poi, troppo complicato, troppo difficile (non più di certi corsetti dove bisognava tirare i lacci in tre o di certi abiti con colossali guardinfante che dovevano pesare suppergiù come una…corazza).
Fortunatamente è ormai abbastanza pacifico che le donne abbiano giocato nei secoli un importante ruolo politico, in prima persona o per conto di figli minori e mariti assenti, e che parecchie abbiano avuto un ruolo di “fondatrici” (ci si vuole limitare a rifondatrici?) del loro stato, cui hanno garantito quantomeno un periodo di splendore: a titolo di esempio, Cleopatra, Wu Zetian, Matilde di Canossa, Elisabetta I, Maria Teresa o Caterina la Grande.

Statisticamente un’incidenza di “grandi sovrani” piuttosto alta, visto la ridotta base di calcolo. Di sicuro queste sovrane si trovarono a dover assumere decisioni militari di rilievo, ma, in considerazione del ruolo ricoperto, non comparvero che occasionalmente sul campo di battaglia, come peraltro i loro omologhi maschi: c’erano ministri e generali cui delegare in modo sistematico questa scomoda attività. Curiosa la posizione di Maria Teresa, la quale affermava che non le sarebbe dispiaciuto andare in battaglia, ma era impegnata a sfornare figli. Il fatto che ne mise al mondo sedici in diciannove anni (una bella testimonianza di resistenza fisica) non consente controprova.
Politiche e guerriere in Emilia Romagna
Il fenomeno del “successo femminile” alla guida dello stato si ripropone, fatte le dovute proporzioni, quando dalla grande storia ci si addentra in quella locale, che per comodità si farà coincidere con l’Emilia Romagna (absit iniuria verbis, fatte salve le peculiarità di ciascuno dei due territori).
Molte testimonianze provano che i sudditi erano sollevati quando il Conte, Marchese, Duca di turno se ne andava altrove a guerreggiare (la sindrome Nimby non è nata nel ventesimo secolo) lasciando le redini dell’amministrazione a mogli o sorelle: un esempio per tutti Alfonso e Eleonora d’Este.

Quando Alfonso si recò a Vienna nel 1574, per uno dei suoi tanti inutili e costosi “viaggi della speranza” volti a ottenere un un incarico prestigioso, affidando il governo alla sorella Eleonora, il popolo sospirò di sollievo, tanto che persino il malevolo ambasciatore fiorentino Canegiani riconosce le doti della donna “il popolo si soddisfa più del governo di lei massime nell’interesse del denaro: ché lo Sfregiato (l’odiatissimo e spietato appaltatore delle tasse voluto da Alfonso) a tempo suo non fa di sì bestiali assassinamenti come quando è il Duca”. La diversa qualità dell’amministrazione tra i due doveva essere evidente, se anche il veneziano Manolesso (certo non un protofemminista), nella sua celebre Relazione su Ferrara, conclude il paragrafo sulla reggenza di Eleonora con un accorato “governò lo Stato con infinita soddisfazione dei sudditi, ma in questo Stato non succedono le femmine”.
Dagli excursus condotti (sarebbe opportuno uno studio specifico) le donne al potere per lo più appaiono capaci di una saggia ed oculata amministrazione della cosa pubblica, pragmatiche, econome (alla faccia del topos della donna spendacciona che attenta al portafoglio dell’uomo di casa) e spesso politiche accorte: evidentemente avevano ricevuto un’adeguata educazione che consentiva loro di destreggiarsi in ogni frangente, ivi compreso quello militare.
Anche queste donne si trovarono a dover assumere decisioni militari, ma anche a loro non era richiesto di combattere in prima persona, di impugnare fisicamente un’arma, ma se si scende ancora di un gradino nella “storia piccola” si trovano quelle che la spada o l’arco lo tenevano a capo del letto, pronto alla bisogna.
Maria Giovanna Trenti ©
Miria Burani ©